Incontri

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Se c’è una cosa di cui si può esser certi quando si fa una passeggiata o un giro in bicicletta lungo le strade di campagna della Val d’Orcia, soprattutto nel periodo che va da marzo a ottobre, e poi a dicembre e gennaio, è che si incontrano persone provenienti da tutti gli angoli della terra e di ogni estrazione sociale.

Australiani, statunitensi, trentini, tedeschi, svizzeri, francesi, romani, altri tedeschi, giapponesi, coreani, cinesi, e poi milanesi, bresciani, marchigiani, siciliani, pugliesi, brasiliani, ancora dei tedeschi, salernitani, fiorentini, turchi e via elencando.

Impiegati e ingegneri, insegnanti e calciatori, cuochi e attori (e attrici!), consulenti aziendali e cantanti, infermieri e ricercatori del CERN: su quelle strade polverose, sotto il sole, sferzati dal vento o fradici di pioggia, stanchi e sudati ma felici ed emozionati da tanta natura, siamo tutti uguali. La fatica è la stessa per tutti, e così pure l’entusiasmo e la voglia di vedere “ancora qualcosa”. Lontano da un lettore di carte di credito, siamo tutti più uguali e socievoli.

C’è tanta gente in giro, a piedi o in bici. Da soli o in coppia, o in gruppo, addirittura intere comitive che camminano o pedalano. Gli si svita il collo per il voltarsi a destra e a sinistra senza sosta, per ammirare quanti più è possibile degli scorci mozzafiato che si trovano davanti agli occhi.

Vengono da ogni parte dell’Italia e del mondo, attratti dai racconti incantati di chi ha già visitato questi posti, dalle immagini delle dolci colline e dagli aromi di piatti e vini sublimi.

Vengono per percorrere un tratto della Via Francigena, o per cimentarsi lungo le strade bianche dell’Eroica, per scattare foto memorabili o per trascorrere un giorno o un mese nell’incanto della natura senese.

Vengono per vivere in prima persona la bellezza di cui hanno sentito parlare, e poi ripartono, apprestandosi a diventare a loro volta testimoni e divulgatori delle meraviglie che hanno ammirato e gustato.

Spesso scambio quattro chiacchiere con viandanti e ciclisti che incontro nel corso delle mie passeggiate, un po’ perché sono curioso di scoprirne la provenienza, più spesso perché mi chiedono indicazioni su quale strada percorrere o dove fermarsi a mangiare. A volte condividiamo un tratto insieme, parliamo della vita nella campagna valdorciana e di quella che conducono a casa loro.

Per dirla in due parole, qui si vive tranquilli e l’aria è buona, non c’è traffico e lo stress è poco. Più d’una volta mi sono sentito dire da turisti stranieri e italiani che non riuscivano a prendere sonno, perché c’è troppo silenzio. Oppure che non sono abituati a percorrere distanze di otto o dieci chilometri tra un paese e l’altro, otto o dieci chilometri di deserto urbano: niente case, capannoni o centri commerciali, ma solo campi, prati, colline e qualche podere.

Questione di punti di vista. In città si vive in modo parecchio diverso dalla campagna, e non esiste il luogo universale, perfetto per tutti noi. Dipende da cosa si cerca, da cosa si è disposti a non avere sotto casa.

Personalmente, vivere in un piccolo centro mi ha regalato tanto tempo da impiegare come più mi piace. Le ore che non trascorro nel traffico o cercando parcheggio, tanto per fare un esempio. Credo di averci anche guadagnato in salute, ma di questo non avrò mai la controprova.

Che ci abbia parlato due minuti o mezz’ora, quando arriva il momento di salutare chi ho avuto la fortuna di incontrare, mi sento un filino più ricco dentro, perché ho avuto modo di guardare queste terre con lo sguardo curioso e ammirato di chi non le vive ogni giorno, di sentirle raccontare con l’entusiasmo di chi le scopre per la prima volta.

È una bella sensazione, una gioia che si rinnova.

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